L’approccio europeo e italiano al tracciamento dei contatti (collana di ricerca)

22 Aprile 2022

Aprile 22, 2022

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Quando pensiamo ai cambiamenti epocali che la pandemia del COVID-19 ha apportato alle nostre vite, raramente tendiamo a includere nella lista anche il contact-tracing. Vuoi perché in Italia il dibattito sul tema è stato relativamente ridotto o riservato agli “addetti ai lavori”; vuoi perché meno radicale rispetto a misure senza dubbio più restrittive delle nostre libertà personali, il tracciamento dei contatti sembra esser stato maggiormente tollerato dalla collettività.

È fondamentale fare un’analisi critica su come questa misura possa far sorgere questioni di natura etica, oltre che questioni di privacy. In particolare, ci si deve interrogare come questo strumento possa essere democratico e inclusivo, adatto ad una società in cui nessuno rimane indietro o è considerato cittadino di serie B.

Alla luce di ciò, e della mancanza di studi in materia nel panorama italiano, Privacy Network ha deciso di condurre una ricerca con l’obiettivo di carpire a tutto tondo i vantaggi e gli svantaggi di questo strumento, cercando di avere un respiro internazionale.  La ricerca verrà pubblicata in una serie di articoli, a cadenza regolare.

Parte 1: Tracciamento dei contatti, le origini

Parte 2: Il contact-tracing nel XXI secolo: dalla MERS al COVID-19

Autore: Dipartimento Ricerca

La gestione della pandemia di COVID-19 in Europa ha fatto largamente affidamento su una serie di applicazioni per smartphone, destinate a ricostruire la catena di possibili contagi provocati da un individuo in caso di positività al virus SARS-CoV-2.

L’approccio europeo ha rappresentato una situazione quasi unica al mondo per la decisione di aprire il tracciamento tramite strumenti digitali a intere popolazioni piuttosto che limitarlo ai soli individui infetti. Se infatti numerosi Paesi extra-europei hanno adottato qualche tipo di strumento digitale al fine di contenere la diffusione della pandemia, si è nella maggior parte dei casi trattato di situazioni a livello cittadino e regionale o limitate a specifiche fasce di utenti; l’Europa si è quindi distinta per il numero di persone coinvolte nel tracciamento.

Altrettanto peculiare è stato il ruolo svolto dalle istituzioni europee nell’uniformare l’approccio adottato dai vari Stati Ue alla creazione delle applicazioni in questione, che – sebbene non sia risultato in un’unica applicazione a livello comunitario – ha portato allo sviluppo di soluzioni essenzialmente identiche tra loro, con poche ma notevoli eccezioni.

L’elenco delle applicazioni adottate all’interno dell’Unione europea è riportato in Tabella 1. Sono altresì indicati i Paesi che hanno scelto di non seguire la guida delle istituzioni comunitarie o che hanno rinunciato all’impiego di “covid app”. 

Tabella 1: Adozione di applicazioni per il tracciamento dei contatti nell’Unione europea e caratteristiche specifiche. Si noti come soltanto tre Paesi (Bulgaria, Lussemburgo e Svezia) non abbiano sviluppato o non abbiano intenzione di sviluppare un’applicazione dedicata.

PaeseAppData di rilascioScopoFunzionamentoConservazione datiInteroperabilitàCodice sorgenteObbligatorietàNote
Austria25 marzo 2020Tracciamento dei contatti e funzioni di saluteBluetooth; ENS Google-AppleDecentralizzataOpen sourceFacoltativaL’app austriaca è passata al sistema decentralizzato nell’aprile 2020. 
Belgio30 settembre 2020Tracciamento dei contattiBluetooth; ENS Google-AppleDecentralizzataOpen sourceFacoltativa
BulgariaNo  L’app bulgara, centralizzata e basata su GPS, non è più attiva.
CechiaNoL’app ceca, decentralizzata e basata su Bluetooth, è stata messa in pausa nell’ottobre 2021.
Cipro5 aprile 2020Tracciamento dei contattiBluetooth; ENS Google-AppleDecentralizzataOpen sourceFacoltativaL’app cipriota è passata al sistema decentralizzato e a ENS Google-Apple nella sua seconda versione. 
Croazia27 luglio 2020Tracciamento dei contattiBluetooth; ENS Google-AppleDecentralizzataOpen sourceFacoltativa
Danimarca18 giugno 2020Tracciamento dei contatti e funzioni di saluteBluetooth; ENS Google-AppleDecentralizzataNon disponibileFacoltativa
Estonia20 agosto 2020Tracciamento dei contattiBluetooth; ENS Google-AppleDecentralizzataOpen sourceFacoltativa
Finlandia31 agosto 2020Tracciamento dei contattiBluetooth; ENS Google-AppleDecentralizzataOpen sourceFacoltativa
Francia2 giugno 2020Tracciamento dei contatti e altre funzioniBluetoothCentralizzataNoOpen sourceFacoltativaLa seconda versione dell’app francese è inclusiva di alcuni servizi aggiuntivi, tra cui la verifica della certificazione vaccinale.
Germania16 giugno 2020Tracciamento dei contattiBluetooth; ENS Google-AppleDecentralizzataOpen sourceFacoltativaL’app tedesca era originariamente stata pensata per essere centralizzata. 
GreciaIn fase di sviluppo  
Irlanda7 luglio 2020Tracciamento dei contatti e funzioni di saluteBluetooth; ENS Google-AppleDecentralizzataOpen sourceFacoltativa
Italia15 giugno 2020Tracciamento dei contattiBluetooth; ENS Google-AppleDecentralizzataOpen sourceFacoltativa
Lettonia29 maggio 2020Tracciamento dei contatti e funzioni di saluteBluetooth; ENS Google-AppleDecentralizzataOpen sourceFacoltativaL’app lettone è stata la prima ad adottare il sistema di Google-Apple per le notifiche di esposizione. 
Lituania6 novembre 2020Tracciamento dei contatti e funzioni di saluteBluetooth; ENS Google-AppleDecentralizzataNon disponibileFacoltativaL’app lituana era originariamente stata pensata per essere centralizzata. 
LussemburgoNo  
Malta18 settembre 2020Tracciamento dei contattiBluetooth; ENS Google-AppleDecentralizzataOpen sourceFacoltativa
Paesi Bassi10 ottobre 2020Tracciamento dei contattiBluetooth; ENS Google-AppleDecentralizzataOpen sourceFacoltativa
Polonia9 giugno 2020Tracciamento dei contatti e funzioni di saluteBluetooth; ENS Google-AppleDecentralizzataOpen sourceFacoltativaGià ad aprile 2020 la Polonia ha lanciato un’app per monitorare i quarantenati, a cui si è poi aggiunta l’app per tracciare i contatti.
Portogallo1° settembre 2020Tracciamento dei contattiBluetooth; ENS Google-AppleDecentralizzataNoOpen sourceFacoltativaA quanto risulta dal sito dedicato, l’app portoghese sta subendo modifiche al fine di raggiungere l’interoperabilità.
RomaniaIncerta  L’adozione di un’app in Romania è ancora in fase di discussione.
SlovacchiaIn fase di sviluppo  Una precedente versione dell’app slovacca, centralizzata e basata su Bluetooth, non è più attiva.
Slovenia17 agosto 2020Tracciamento dei contattiBluetooth; ENS Google-AppleDecentralizzataOpen sourceFacoltativo
Spagna21 agosto 2020Tracciamento dei contattiBluetooth; ENS Google-AppleDecentralizzataOpen sourceFacoltativo
SveziaNo  
Ungheria13 maggio 2020Tracciamento dei contattiBluetoothCentralizzataNoOpen sourceFacoltativoSito web non raggiungibile.

I modelli principali

I vari tipi di applicazione votata al tracciamento dei contatti adottati a livello europeo possono essere classificati sulla base di una serie di caratteristiche, frutto di scelte tanto tecniche quanto politiche. Se al momento del lancio delle prime applicazioni, tra aprile e giugno del 2020, queste caratteristiche differivano a volte significativamente tra i vari Paesi, si è poi assistito ad un intervento sempre più marcato dell’Unione europea, che nel tentativo di favorire l’interoperabilità (ossia la possibilità di permettere l’interazione senza errori o malfunzionamenti) tra le applicazioni nazionali ha premuto per una omogeneizzazione delle caratteristiche delle stesse. Come emerge dalla Tabella 1, ad oggi 18 Paesi su 28 presentano applicazioni essenzialmente identiche nelle loro proprietà fondamentali.

Scopo

Non tutte le cosiddette “covid app” sono nate per tracciare i contatti. La prima applicazione esplicitamente coinvolta nella gestione della pandemia di COVID-19 in Europa è stata infatti l’applicazione per quarantena polacca, creata sul modello dell’applicazione sudcoreana e rivolta specificamente al monitoraggio degli individui sottoposti a misure di isolamento e quarantena. Nel corso dei primi mesi della pandemia, il tracciamento dei contatti si è svolto soprattutto tramite tracciatori umani o attraverso il controllo dei dati in possesso delle compagnie di telefonia. Il passaggio a mezzi tecnologici per verificare eventuali contatti con persone infette dal coronavirus si è reso necessario, nelle dichiarazioni, con l’aumento esponenziale dei malati e, di conseguenza, delle catene di contagio.

Le applicazioni in ad ora in uso nei vari Paesi dell’Unione europea sono quindi tutte dedicate in via primaria al tracciamento dei contatti, ossia all’individuazione delle persone con le quali un individuo infetto è entrato in contatto nelle due settimane precedenti alla positività al virus di modo da poter facilmente segnalare situazioni di possibile infezione. Alcune applicazioni, tuttavia, includono funzioni aggiuntive (es. le applicazioni austriaca, danese, lettone), soprattutto volte ad informare gli utenti riguardo i sintomi più comuni dell’infezione da SARS-CoV-2, a verificare lo stato di salute ed eventualmente a fare autodiagnosi sulla base di questionari creati dalle autorità sanitarie del Paese gestore dell’app.

In alcuni casi, le applicazioni erano state pensate, al momento dello sviluppo, per fornire dati utili alla ricerca o per creare modelli dei pattern di infezione (es. Irlanda e Slovacchia). Tali funzionalità sono però state rimosse dalla versione finale disponibile al pubblico, principalmente per motivi connessi alla tutela della privacy degli utenti.

Funzionamento

Seguendo il modello di alcuni metodi per il tracciamento dei contatti extra-europee, specialmente i casi sudcoreano e cinese, le prime soluzioni europee sviluppate all’inizio della pandemia sono state fondate sul monitoraggio della posizione degli utenti tramite l’uso del GPS (Global Positioning System, o sistema di posizionamento globale), integrato ormai in tutti i moderni modelli di smartphone. Alcuni esempi hanno riguardato, per esempio, la prima versione dell’applicazione bulgara VirusSafe e dell’applicazione slovacca Zostaň Zdravý, entrambe non più in uso. È tuttavia risultato rapidamente evidente che per poter rispettare le esigenze di protezione e minimizzazione dei dati richieste dal Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) europeo un altro sistema sarebbe stato necessario, in quanto i dati posizionali risultavano eccessivamente sensibili per poter essere raccolti su larga scala.

A prevalere sui vari metodi considerati è stato il Bluetooth. Anch’esso ormai integrato in tutti i moderni modelli di smartphone, Bluetooth costituisce un metodo standard per la trasmissione di dati senza fili tra dispositivi attraverso onde radio a corto raggio (si parla di non più di qualche decina di metri). L’adozione del Bluetooth – e, in particolare, di una sua specifica versione denominata BLE (Bluetooth Low Energy, o Bluetooth a bassa energia) – come metodo alla base di tutte le applicazioni europee di tracciamento dei contatti è stata determinata da due eventi, entrambi risalenti all’aprile 2020 (quando la maggioranza delle applicazioni europee era ancora in fase di sviluppo): il suo uso da parte di consorzi PEPP-PT e DP-3T, e l’intervento di Google ed Apple.

PEPP-PT (Pan-European Privacy-Preserving Proximity Tracing, o tracciamento di prossimità pan-europeo preservante la privacy) e DP-3T (Decentralized Privacy-Preserving Proximity Tracing, o tracciamento di prossimità decentralizzato preservante la privacy) sono due protocolli pubblici sviluppati da consorzi rivali di università europee, formatisi nel contesto della pandemia da COVID-19, e presentati a pochi giorni di distanza uno dall’altro nell’aprile del 2020. Entrambi rappresentano il risultato degli sforzi dei due gruppi di ricerca per trovare un sistema sicuro e il più possibile rispettoso della privacy al fine di sviluppare applicazioni per il tracciamento digitale dei contatti su una base comune. Pur differendo nell’approccio di comunicazione dei dati adottato, come approfondito nella prossima sezione, entrambi i protocolli usano BLE per raccogliere i dati relativi ai contatti da tracciare – fatto che ha essenzialmente dato il via libera all’adozione del Bluetooth come sistema standard per la creazione delle applicazioni di tracciamento dei contatti europee.

Il 10 aprile 2020, a dare la spinta finale al consolidamento di BLE sono stati Google ed Apple, proprietari dei due principali sistemi operativi in uso su telefoni cellulari e smartphone (rispettivamente, Android e iOS), che hanno annunciato la volontà di creare un sistema di notifica condiviso (Exposure Notification System, ENS) basato proprio su Bluetooth. L’intervento di Google ed Apple si è rivelato fondamentale anche per il successo del protocollo DP-3T (sul quale il sistema di notifica è basato), che risentiva di un forte consumo della batteria dei dispositivi sul quale era adoperato dovuto al suo metodo di comunicazione dei dati. Grazie al sistema di notifica sviluppato da Google ed Apple, inizialmente disponibile tramite accettazione delle condizioni di servizio delle applicazioni di tracciamento dei contatti e poi implementato direttamente tramite aggiornamenti dei due sistemi operativi, le applicazioni basate su DP-3T hanno avuto la possibilità funzionare anche senza la necessità di mantenere l’applicazione sempre attiva sullo schermo dello smartphone. Un sistema simile è stato successivamente sviluppato dalla cinese Huawei per poter essere applicato negli smartphone di sua produzione.

Visto lo stabilimento di BLE come metodo standard per l’acquisizione dei dati relativi ai contatti da tracciare, ad oggi è possibile affermare che questo processo sia relativamente simile per la maggioranza delle applicazioni in uso in Europa. Dal momento in cui un’applicazione di tracciamento dei contatti è installata su un dispositivo, essa emette un segnale Bluetooth inclusivo di un codice generato casualmente e cambiato più volte all’ora; quando i proprietari di dispositivi sui quali l’applicazione (o un’applicazione compatibile) è installata entrano in contatto “stretto”, ossia superando una certa soglia di distanza (indicativamente 2 metri) e durata, i codici generati dai relativi dispositivi vengono scambiati tramite Bluetooth. I dispositivi registrano dunque il codice corrispondente al contatto, oltre a includere dati sulla durata del contatto e sulla distanza alla quale si trovavano i due dispositivi, che può essere approssimativamente ricavata dall’intensità del segnale BLE. I codici, che non contengono alcuna informazione specifica relativa all’utente o al dispositivo e sono crittografati, vengono poi conservati per la quantità di tempo variabile in base all’applicazione, ma tendenzialmente corrispondente al termine di 14 giorni entro cui si dovrebbe sviluppare un’eventuale infezione. A determinare una fondamentale differenza tra le applicazioni è, invece, la modalità di conservazione ed elaborazione di tali codici.

Trasmissione e conservazione dei dati

Le applicazioni per il tracciamento dei contatti possono essere divise in due gruppi sulla base dei punti di conservazione e dell’elaborazione dei dati acquisiti dall’app: app centralizzate ed app decentralizzate.

Le applicazioni di tipo decentralizzato costituiscono il 90% delle applicazioni di tracciamento dei contatti attualmente disponibili nell’Unione europea. La loro principale peculiarità riguarda la creazione, conservazione e elaborazione dei codici, tutte funzioni che sono svolte direttamente sul dispositivo nel quale è stata installata l’applicazione. I punteggi di rischio sono quindi calcolati direttamente sullo smartphone; gli identificatori dei dispositivi con i quali lo stesso smartphone è entrato in contatto sono conservati a loro volta sullo smartphone. Tali informazioni vengono inviate ad un server di pertinenza delle autorità sanitarie nazionali soltanto in caso di risultato positivo al test per il COVID-19. Il protocollo DP-3T e il sistema di notifica sviluppato da Google e Apple rappresentano i principali esempi di tale sistema.

Le applicazioni di tipo centralizzato, invece, sono al momento implementate soltanto in due Paesi europei: Francia e Ungheria. Contrariamente al modello decentralizzato, in questo caso i codici sono generati, conservati ed elaborati direttamente in un server centralizzato e gestito dalle autorità sanitarie del Paese in questione. Il protocollo PEPP-PT ne rappresenta il principale esempio.

Entrambi i modelli presentano vantaggi e svantaggi, e nessuno dei due sembra essere nettamente migliore dell’altro. Se da un lato, infatti, il modello decentralizzato offre maggiori garanzie da un punto di vista di sicurezza cibernetica e privacy – dovute alla dispersione dei dati in più dispositivi, fatto che amplia la superficie da coprire per un possibile attacco hacker, e alla permanenza della maggior parte dei dati direttamente nei dispositivi –, dall’altro il modello centralizzato evita di appoggiarsi ad aziende extra-europee nel trattamento di informazioni estremamente sensibili, mantenendo in pieno il controllo governativo sulla lotta alla pandemia e favorendo l’autonomia strategica europea. Le istituzioni europee stesse hanno mantenuto una posizione ambivalente sul tema: se Commissione e Parlamento si sono esplicitamente pronunciati in favore del modello decentralizzato, il Garante europeo per la protezione dei dati – la massima autorità europea in termini di protezione dei dati personali – ha dato il via libera ad entrambe le opzioni. Ad influire in modo determinante sull’adozione maggioritaria del modello decentralizzato sono state, in ogni caso, delle limitazioni tecniche relative al funzionamento dell’app su dispositivi Apple, alcuni dei quali non supportavano l’invio dei codici di tutti i contatti al server centralizzato, oltre all’esplicito intervento di Google e Apple con lo sviluppo del loro sistema di notifica e alla necessità di favorire l’interoperabilità delle diverse applicazioni europee.

Interoperabilità

Se i modelli centralizzato e decentralizzato non sembrano presentare vantaggi o svantaggi determinanti a favorire uno rispetto all’altro, la questione dell’interoperabilità ha spinto numerosi Paesi europei a preferire applicazioni decentralizzate. Al fine di favorire la possibilità di viaggiare tra i vari Stati Membri senza dover scaricare di volta in volta la relativa applicazione nazionale, infatti, a partire da ottobre 2020 la Commissione europea ha promosso lo sviluppo di una soluzione cosiddetta “di interoperabilità”, creando un’interfaccia volta allo scambio di informazioni sicuro ed efficiente tra le varie app e i relativi server nazionali. Come specificato dalla stessa Commissione:

“Le singole app di tracciamento e allerta per il coronavirus si collegano unicamente al proprio server back-end nazionale. I server back-end nazionali non si collegano direttamente tra loro, ma si scambiano le informazioni attraverso il gateway di interoperabilità dell’UE, con un consumo di dati ridotto rispetto allo scambio diretto tra le app partecipanti.

Lo scambio si divide in due fasi principali: il caricamento [dei codici nazionali] sul server del gateway, che avviene se gli utenti caricano [i loro codici] e hanno accettato di condividerli con gli utenti di altre app europee, e lo scaricamento [dei codici] sul server nazionale back-end, necessario affinché [i codici] possano essere distribuite agli utenti della singola app nazionale.” 

L’interfaccia, progettata sulla base delle normative europee in tema di interoperabilità, misure disponibili contro il coronavirus e protezione dei dati dalle multinazionali tedesche T-systems e SAP, è gestita direttamente dal Data Centre della Commissione a Lussemburgo. Tuttavia, la soluzione elaborata è disponibile soltanto per le applicazioni basate sul modello decentralizzato che decidano di aderirvi, escludendo quindi in automatico le applicazioni francese ed ungherese e favorendo ulteriormente l’adozione del modello decentralizzato. Ad oggi, 19 applicazioni di tracciamento dei contatti europee su 22 sono perfettamente interoperabili, con l’applicazione portoghese attualmente in fase di modifica per aderire a sua volta.

Consultazione del codice sorgente

Per ragioni di trasparenza, nelle sue linee guida sullo sviluppo delle applicazioni di tracciamento dei contatti la Commissione europea ha raccomandato agli Stati Membri di rendere disponibile il codice sorgente delle applicazioni. Tra le motivazioni è segnalata anche la volontà di garantire la sicurezza di sistemi sviluppati in breve tempo e pensati per un’ampia diffusione tra la popolazione europea; sicurezza che verrebbe ottenuta consentendo a numerosi sviluppatori da tutto il mondo di visualizzare e commentare il codice sorgente delle varie “covid app”. Ad oggi, il codice sorgente di 19 applicazioni su 21 è pubblicamente disponibile su GitHub, sito di proprietà di Microsoft nel quale sviluppatori di tutto il mondo condividono i codici sorgente dei propri programmi.

Non tutti i Paesi europei si sono adeguati alla raccomandazione della Commissione. Il codice sorgente dell’applicazione lituana non è infatti disponibile al pubblico, mentre nel sito web dell’applicazione danese figura la seguente spiegazione per l’assenza del relativo codice sorgente, liberamente tradotta dall’inglese:

“[…] il codice sorgente dell’applicazione non sarà reso disponibile pubblicamente. Il motivo è che ciò aumenterebbe il rischio di violazioni della sicurezza, dato che persone o organizzazioni con intenzioni malevole avrebbero la possibilità di attaccare o violare più facilmente il sistema.”

La posizione danese riflette quella, ad oggi decisamente minoritaria nella comunità scientifica di riferimento, di alcuni scettici riguardo i vantaggi per la sicurezza dei sistemi cosiddetti open source (ossia il software caratterizzato da una licenza che permette la modifica, l’uso e la redistribuzione del loro codice sorgente).

Obbligatorietà

Contrariamente agli approcci adottati in alcuni Paesi extra-europei come Cina e Qatar, tutte le applicazioni per il tracciamento dei contatti europee risultano facoltative per il pubblico, seppur caldamente raccomandate dai governi degli Stati Membri e dalle istituzioni europee. La volontarietà dello scaricamento delle applicazioni europee è il risultato di un lungo dibattito tanto all’interno dei singoli Stati quanto tra le diverse istituzioni europee centrato sul bilanciamento tra le necessità emergenziali di contenimento della pandemia e i diritti di libera scelta del singolo. Tuttavia, la mancata imposizione delle applicazioni ha fatto sì che in generale esse abbiano riscosso un successo limitato, con percentuali di download pari a malapena al 20% della popolazione nella maggioranza dei Paesi UE.

Il caso italiano: l’app Immuni

Il governo italiano, anche visto il rapido peggioramento della situazione sanitaria nel Paese, è stato tra i primi ad organizzarsi per lo sviluppo di un sistema di tracciamento dei contatti digitale. Il 24 marzo 2020, appena due settimane dopo la proclamazione del lockdown nazionale, un bando della durata di tre giorni è stato aperto dai Ministeri dell’Innovazione e della Salute per selezionare le “migliori soluzioni digitali disponibili sul mercato per app di telemedicina e strumenti di analisi dati” per “coordinare a livello nazionale l’analisi, l’adozione, lo sviluppo e l’utilizzo di queste soluzioni e tecnologie per il monitoraggio e contrasto alla diffusione di COVID-19”. Al contrario di altri casi in Europa, l’invito è stato rivolto tanto ad enti pubblici quanto privati. Si noti inoltre che il bando, così come formulato originariamente dai due Ministeri, era finalizzato non solo allo sviluppo di un’applicazione per il tracciamento dei contatti, come nel resto d’Europa, ma anche all’identificazione di applicazioni di teleassistenza da usare per monitorare malati di COVID-19 o di altre malattie, anche croniche. Al bando hanno risposto 823 tra aziende, centri di ricerca e università, con 504 proposte nell’ambito della telemedicina e 319 nell’area del tracciamento dei contatti.

La rapidità nella risposta è stata data principalmente dal fatto che molti sistemi di tracciamento dei contatti o di autodiagnosi erano già in fase di lavorazione dall’inizio del mese di marzo, a livello regionale o locale. La regione Lombardia è stata tra le prime a muoversi, sfruttando i già citati dati in mano alle compagnie di telecomunicazioni e lanciando un’applicazione di autodiagnosi mirata a valutare i reali livelli di contagio tra la popolazione, che tuttavia ha riscosso un successo limitato.

Se l’interesse pubblico per le applicazioni di telemedicina è rimasto basso – rimane pressoché impossibile trovare notizie sui vincitori di tale sezione del bando del governo italiano –, lo stesso non si può dire per l’applicazione di tracciamento dei contatti. Il 17 aprile 2020, in seguito alla valutazione di un team di 74 esperti, viene annunciato il vincitore della selezione: si tratta di Immuni, la proposta (a titolo gratuito) dell’azienda italiana di sviluppo di applicazioni mobili per il gaming Bending Spoons. Secondo quanto riportato nel comunicato stampa del Ministero della Salute, il progetto originale prevede che l’applicazione:

“[registri] la prossimità tra cellulari delle persone con le quali il soggetto è venuto a contatto tramite dati non direttamente idonei a rivelare l’identità di una persona. Tali dati rimarranno all’interno del cellulare fino all’eventuale diagnosi di contagio. Il sistema non ha l’obiettivo di geolocalizzazione ma quello di tracciare per un determinato periodo di tempo degli identificativi criptati dei cellulari con il quale il soggetto positivo al virus è entrato in stretto contatto. Questo accade solo se in entrambi i cellulari è presente l’applicazione di tracciamento.

[…] Qualora il soggetto risulti positivo a seguito di un test, l’operatore medico autorizzato dal cittadino positivo, attraverso l’identificativo anonimo dello stesso, fa inviare un input/messaggio di alert per informare tutti quegli utenti identificati in modo anonimo che sono entrati in contatto con lui.” 

È dunque da subito evidente che la soluzione ritenuta più adeguata dal governo italiano sia stata un’applicazione basata sul modello decentralizzato, come nella maggior parte dell’Unione europea e pienamente in linea con le indicazioni della Commissione UE. Immuni ha poi adottato il sistema di notifica sviluppato da Google e Apple, ancora inedito al momento della presentazione del progetto.

Figura 1: Schermate di benvenuto dell’app Immuni.

L’approvazione del governo è stata, tuttavia, solo l’inizio di un percorso travagliato per l’applicazione italiana. Finalmente resa disponibile al pubblico il 15 giugno 2020, Immuni ha risentito di una serie di rinvii, modifiche, problemi tecnici, e polemiche che l’hanno da subito posta al centro della discussione pubblica sulle misure adottate dal governo italiano per il contenimento della pandemia. In particolare, a danneggiare l’adozione dell’applicazione sono stati il diffuso scetticismo nei confronti dell’utilità del sistema a fronte dei pochi download – un chiaro caso di serpente che si morde la coda –, la persistenza delle preoccupazioni per la privacy e gli iniziali scontri politici che hanno portato i rappresentanti di alcuni enti locali, come ad esempio la Regione Piemonte, a sconsigliare ai cittadini l’uso dell’app.

A danneggiarne la funzionalità, invece, più che i problemi di compatibilità con una varietà di dispositivi è stata la scarsa o nulla integrazione con i servizi sanitari locali. Emblematico è stato il caso della Regione Veneto, che ad ottobre 2020 ancora non offriva la possibilità di caricare i codici relativi ai contatti in caso di positività al coronavirus a causa della mancata attivazione della piattaforma da parte dell’ente regionale preposto.  

Figura 2: Funzionamento dell’app Immuni secondo il modello decentralizzato.

Immuni è tuttora in uso, sebbene secondo i piani originali debba cominciare ad essere dismessa con la fine dello stato di emergenza. Secondo i dati ufficiali, dopo essere stata a lungo ferma intorno ai 10 milioni di download, al 2 aprile 2022 è stata scaricata un totale di 21.561.087 volte (pari a circa il 36% della popolazione italiana e a poco più del 50% della popolazione dotata degli smartphone adatti; rimane tuttavia impossibile sapere quanti di questi siano effettivamente utenti attivi, e quanti siano download doppi da parte di una stessa persona, magari su diversi telefoni) e ha registrato 83.652 casi positivi (contati sulla base dei codici caricati presso il server nazionale).

Se la quantità di download si colloca sopra la media rispetto alle altre applicazioni europee – anche grazie allo stimolo dato dall’introduzione del certificato vaccinale (o “Green Pass”), acquisibile direttamente tramite l’app –, Immuni non si può propriamente definire un caso di successo: è rimasta ben lontana dall’obiettivo di raggiungere il 60% degli italiani, mentre il contributo all’individuazione dei positivi è stato marginale (appena lo 0,5% dei casi positivi registrati in Italia risulta anche sull’app) e i numerosi problemi tecnici e di comunicazione hanno influito in modo ambiguo sull’opinione pubblica, lasciandone ancora oggi un’immagine controversa.


Fonti:

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