Aprile 8, 2022
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Quando pensiamo ai cambiamenti epocali che la pandemia del COVID-19 ha apportato alle nostre vite, raramente tendiamo a includere nella lista anche il contact-tracing. Vuoi perché in Italia il dibattito sul tema è stato relativamente ridotto o riservato agli “addetti ai lavori”; vuoi perché meno radicale rispetto a misure senza dubbio più restrittive delle nostre libertà personali, il tracciamento dei contatti sembra esser stato maggiormente tollerato dalla collettività.
È fondamentale fare un’analisi critica su come questa misura possa far sorgere questioni di natura etica, oltre che questioni di privacy. In particolare, ci si deve interrogare come questo strumento possa essere democratico e inclusivo, adatto ad una società in cui nessuno rimane indietro o è considerato cittadino di serie B.
Alla luce di ciò, e della mancanza di studi in materia nel panorama italiano, Privacy Network ha deciso di condurre una ricerca con l’obiettivo di carpire a tutto tondo i vantaggi e gli svantaggi di questo strumento, cercando di avere un respiro internazionale. La ricerca verrà pubblicata in una serie di articoli, a cadenza regolare.
Autore: Dipartimento Ricerca
I sistemi di tracciamento e di sorveglianza per arginare epidemie e pandemie non sono dei fenomeni nuovi, sviluppati solo successivamente alla diffusione del COVID-19, ma hanno una lunga storia alle spalle. Nel corso dei secoli, infatti, sono stati adottati strumenti e politiche per limitare la diffusione dei contagi e, soprattutto in assenza di cure sanitarie (o, più tardi, di vaccini), sono state tali misure ad aver giocato un ruolo fondamentale nel contenere le infezioni, ritardare la diffusione della malattia e permettere il funzionamento della società.
Tra queste misure, ad esempio, c’è la quarantena, che a partire dalla fine del Trecento è stata la pietra angolare di strategie coordinate di controllo delle malattie, tra cui i cordoni sanitari, la disinfezione e la segregazione delle persone considerate responsabili per la diffusione del contagio.
Questo articolo, tuttavia, si focalizza su un altro metodo storicamente utilizzato per evitare la diffusione di malattie contagiose e diventato uno strumento chiave per il contenimento del COVID-19: il contact-tracing (o tracciamento dei contatti).
Come vedremo meglio nei prossimi articoli, nonostante il loro fine sociale benefico, tali strategie sono sempre state molto discusse, percepite come intrusive e accompagnate, in ogni epoca e sotto tutti i regimi politici, da numerose critiche. In particolare, queste misure strategiche hanno sollevato (e sollevano ancora) un’ampia varietà di questioni politiche, economiche, sociali ed etiche. Ciò è dovuto principalmente anche al fatto che, di fronte a una drammatica crisi sanitaria e in nome della salute pubblica, i diritti individuali e collettivi sono stati spesso messi in secondo piano, se non apertamente violati. Prima di analizzare la storia del contact-tracing e della sua evoluzione tecnologica, è necessario provare a dare una definizione a questa strategia e a delinearne i principi cardine.
Contact-tracing: una definizione
Il tracciamento dei contatti è uno strumento mirato a rompere la catena di trasmissione rintracciando tutti coloro con cui una persona infetta è stata in contatto, testandoli e isolandoli se anche loro sono infetti. Pertanto, per sua natura, questo metodo viene principalmente adottato per malattie altamente infettive come la tubercolosi, il morbillo, le malattie veneree (incluso l’HIV), le malattie trasmesse dal sangue, alcune infezioni batteriche gravi e le malattie virali (ad esempio SARS-CoV e SARS-CoV-2).
Per poter far ciò, questo processo si divide in diverse fasi, come descritto nella Tabella 1.
Tabella 1: Le fasi del processo di contact-tracing.
Fase | Descrizione |
1 | Un individuo viene identificato come portatore di una malattia trasmissibile (spesso chiamato caso indice). L’infetto può essere segnalato alla sanità pubblica o privata. |
2 | Il caso indice viene intervistato per conoscere i suoi movimenti, con chi è stato a stretto contatto o chi sono stati i suoi partner sessuali (in caso di malattie trasmissibili sessualmente). |
3 | A seconda della malattia e del contesto dell’infezione, possono essere intervistati anche i membri della famiglia, gli operatori sanitari e chiunque altro possa essere a conoscenza dei contatti del caso. |
4 | Una volta identificati i contatti, gli operatori sanitari li contattano per offrire consulenza, screening, profilassi e/o trattamento. |
5 | I contatti possono essere isolati (per esempio, tenuti a rimanere a casa) o esclusi (per esempio, vietati a frequentare un luogo particolare, come una scuola) se ritenuto necessario per il controllo della malattia. |
6 | Se i contatti non sono identificabili individualmente (per esempio, membri del pubblico che hanno frequentato lo stesso luogo), possono essere emesse comunicazioni più ampie, come gli avvisi dei media. |
Il tracciamento dei contatti ha una lunga storia che risale fino al periodo medievale. Perciò le nuove tecnologie applicate al tracciamento dei contatti devono essere considerate come dei meri strumenti che lo rendono più efficace, ma non strettamente necessari per il suo funzionamento.
Contact-tracing: la storia
La strategia del contact-tracing, contrariamente a quanto si possa pensare, ha origini antiche. Le prime forme di tracciamento dei contatti, infatti, possono essere fatte risalire al periodo medievale. Ad esempio, durante la Peste Nera, gli individui che contraevano la peste non solo venivano messi in quarantena e socialmente isolati, ma le loro abitazioni venivano marchiate per segnalare la presenza di contagiati. In questo contesto, una pratica comune era quella di mettere una croce sulla porta della casa dell’infetto in modo tale che fosse chiaro che non dovesse essere frequentata. Questo metodo, per quanto possa oggi sembrare brutale, può essere, al contrario, considerato un vero e proprio primo tentativo di isolare i focolai epidemici e di limitare la diffusione della peste.
Tuttavia, queste prime strategie di tracciamento dei contatti presentavano parecchi problemi e limitazioni. Innanzitutto, dal punto di vista tecnico e dell’efficacia, il problema principale di questa prima strategia era l’assenza di una mappatura sistematica degli individui infetti. Pertanto, se questa prima forma di tracciamento permetteva di segnalare (seppur in maniera limitata) i focolai locali ed isolare gli infetti, d’altro canto non era in grado di monitorare la diffusione dell’epidemia non riuscendo a tracciare i “movimenti” del virus. Inoltre, da un punto di vista culturale e sociale più ampio, non esistevano politiche di riabilitazione e di reintegramento delle persone infette: essere marchiati significava essere stigmatizzati ed esclusi dal resto della società, anche una volta guariti.
Uno dei primi tentativi di mappaggio di un focolaio viene attribuito al dottor John Snow, il cui contributo è stato fondamentale per identificare uno dei tanti focolai di colera che si diffuse rapidamente a Londra nel 1854. Alla base di questo primo tentativo ci fu un’illuminazione scientifica. Il dottor Snow, infatti, respinse l’allora molto diffusa idea che fosse l’aria a diffondere e a permettere la trasmissione del colera e di altre malattie infettive. Al contrario, lo scienziato sosteneva che il virus si trasmettesse tramite un contatto ravvicinato tra una persona infetta e un’altro individuo. Dopodiché, applicò la sua teoria per poter tracciare l’epidemia di colera. Una volta individuati i contatti e i movimenti di diversi individui infetti, comprese immediatamente che il focolaio dell’infezione era una pompa d’acqua in Broad Street, nel quartiere londinese di Soho.
Per poter giungere a questo risultato, Snow aveva semplicemente intervistato diverse persone, infette e non, con lo scopo di individuare quando e dove si erano verificati episodi di infezione. Poi, confrontando i dati ottenuti, era riuscito a mappare il primo focolaio di colera. Anche se le analisi di un campione d’acqua della pompa non dimostrarono la presenza del batterio del colera, il solo lavoro di tracciamento dei contatti convinse le autorità locali a rimuovere la pompa. Poco tempo dopo questo studio, le condizioni igieniche di Londra migliorarono.
Il lavoro di Snow fu preso subito come base per formulare le strategie epidemiologiche adottate per l’emarginazione delle seguenti pandemie e, ad oggi, Snow è considerato uno dei padri fondatori dell’epidemiologia.
L’immenso lavoro di Snow, fin da subito, suggerì la possibilità di rintracciare la fonte di una qualsiasi malattia e di seguirne la diffusione. Di conseguenza, a partire dalla fine del XIX secolo, le prime forme di contact-tracing furono applicate a diverse malattie infettive, tra cui la tubercolosi (TBC), diffusasi rapidamente in Europa e negli Stati Uniti a causa del rapido processo di urbanizzazione.
Per poterla arginare, la tubercolosi venne classificata come una malattia “con obbligo di notifica”. Ciò significava che i cittadini erano obbligati per legge a segnalare la presenza di casi di tubercolosi in modo tale da permettere ai funzionari della sanità pubblica di mappare e tracciare la posizione dei focolai. Una volta individuati gli infetti, questi venivano spesso mandati in sanatori, delle strutture di isolamento molto simili a prigioni. In questa maniera, si creò un sistema pubblico in grado di avvertire le persone nelle aree colpite che si stava verificando un focolaio epidemico nella propria zona.
Se è vero che questa strategia era poco efficace data la spesso tardiva risposta delle autorità ad una segnalazione di un caso di infezione, d’altra parte è proprio in questo periodo che il tracciamento dei contatti venne sviluppato come strategia primaria per salvaguardare la salute pubblica.
La nascita del contact-tracing contemporaneo si fa risalire all’inizio del ventesimo secolo, quando negli Stati Uniti si adottarono le prime misure per arginare la sifilide. Se, infatti, fino alla fine del XIX secolo il tracciamento dei contatti veniva perlopiù sfruttato per contenere epidemie su larga scala come il colera o la tubercolosi, all’inizio del XX secolo ci si rese conto che questa strategia avrebbe potuto avere un impatto positivo anche nel limitare la diffusione di altri tipi di infezioni, tra cui le malattie veneree.
Questa scoperta divenne particolarmente rilevante a partire dalla Prima Guerra Mondiale, quando le malattie veneree divennero un serio problema per la salute pubblica in molti paesi europei. Pertanto, già negli anni ’20 e ’30, il contact-tracing per limitare la trasmissione di malattie veneree divenne comune. Fin dalla sua origine, la ricerca dei contatti ha generato un dibattito sul diritto alla riservatezza della persona infetta (cioè il “caso indice”) e sul diritto dei partner della persona infetta (cioè il “contatto”) di essere informati sull’esposizione, soprattutto considerato lo stigma sociale legato all’omosessualità o ai rapporti extra-coniugali. Inoltre, fin da subito, forti discussioni si accesero sui possibili utilizzi secondari di questa strategia.
In questo primo periodo, il tracciamento dei contatti non veniva sfruttato solo per ragioni di salute pubblica, ma spesso veniva usato dalle autorità per tracciare attività criminali come la prostituzione o per discriminare ulteriormente le fasce meno abbienti della società. Ne è una chiara dimostrazione la discrezione con cui i medici decidevano se rendere anonimi i dati dei pazienti infetti o meno. Infatti, era pratica abbastanza comune anonimizzare solo i dati dei malati appartenenti a classi sociali più alte, mentre i pazienti più poveri venivano segnalati ed identificati tramite dati personali, spesso condivisi pubblicamente. Inoltre, le prostitute venivano incarcerate, accusate di essere il principale veicolo di diffusione della sifilide.
Per cercare di ridurre le conseguenze sociali e “morali” del contact-tracing, a partire dagli anni ‘30 e ‘40, gli addetti alla sanità cominciarono ad adottare nuove regole che definissero l’utilizzo di questa strategia. Ad esempio, invece di promuovere gli obiettivi politici legati al contact-tracing, si decise di focalizzarsi maggiormente sulla conduzione di interviste dettagliate con gli individui infetti per poter ricostruire la loro storia sessuale e poter individuare le varie fasi di trasmissione del virus. Nonostante questi sforzi, però, il tracciamento dei contatti rimaneva ancora uno strumento altamente politico, andando a limitare principalmente i movimenti di donne infette o potenzialmente infette. Isolare le donne e non gli uomini, infatti, era ancora considerato il modo più efficace per prevenire la diffusione dell’infezione.
Inoltre, già in questo periodo, l’utilizzo del tracciamento dei contatti per prevenire la diffusione di malattie veneree fece sorgere vari dubbi di carattere etico, soprattutto negli Stati Uniti. Inizialmente, infatti, questo tipo di strategia, soprattutto se promossa dal governo, fu fortemente criticato, essendo percepito come un sistema di sorveglianza governativo per controllare singolarmente i propri cittadini. Tuttavia, alla fine degli anni ‘40 la selezione più accurata di persone da intervistare, in concomitanza con l’introduzione della penicillina, dimostrarono di avere più successo dell’approccio “a tappeto”, più brusco e stigmatizzante. Grazie a questi due fattori, i casi di sifilide diminuirono nella maggior parte dei paesi Europei e negli Stati Uniti entro gli anni ‘50.
Successivamente, tra gli anni ‘50 agli anni ‘70, il contact-tracing è stato utilizzato sia nei Paesi industrializzati sia in quelli in via di sviluppo per tracciare tutti i principali focolai di vaiolo, che fu in gran parte eradicato entro il 1980. Contrariamente a quanto si pensa, questo risultato fu possibile proprio grazie al tracciamento dei contatti, isolando e trattando gli individui infetti, e non tanto tramite l’immunizzazione degli individui maggiormente esposti al virus, fenomeno che avvenne solo in un secondo momento.
Come abbiamo visto, dunque, il contact-tracing non è un fenomeno nuovo, ma fin dal Medioevo è stata una strategia cruciale nel trasformare il modo di affrontare le epidemie. Tuttavia, grazie all’uso di telefoni cellulari e di nuove tecnologie, ulteriori progressi sono stati fatti in questo campo. Come verrà meglio spiegato nel prossimo articolo, l’uso dei telefoni cellulari per rintracciare la posizione di infetti o presunti tali è stato implementato per la prima volta per contenere l’epidemia di Ebola nel 2014 e quella della MERS nel 2015. In particolare, è stata la Corea del Sud, colpita fortemente dalla MERS, ad essere uno dei primi stati pionieri nell’utilizzo di dati di geolocalizzazione per tracciare i movimenti dei singoli.
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