Ma la Silicon Valley non era progressista?

17 Marzo 2025

Progresso tecnologico non equivale a progresso sociale

Per la maggior parte della vita adulta delle grandi compagnie tecnologiche di oggi – tra quelle sopravvissute all’esplosione della bolla delle dot com a inizio secolo e quelle nate e cresciute esponenzialmente negli anni successivi – si è andata delineando un silenzioso assioma, quasi unanimemente accettato dal pubblico: la connessione tra il rapidissimo avanzamento tecnologico finanziato da queste aziende, perlopiù situate nell’arcinota Silicon Valley, e un’evoluzione della società verso ideali di uguaglianza, inclusività e generico “progresso”, ugualmente stimolata e sostenuta dai giganti della tecnologia.

Un’illusione, più che una reale correlazione, che si è spettacolarmente infranta a partire dall’elezione di Donald Trump al suo secondo mandato presidenziale. Se il caso più evidente è quello di Elon Musk, solo qualche anno fa  paladino della lotta al cambiamento climatico e apprezzato interlocutore dei Democratici, non è passato inosservato il cambio di rotta di altri tra i suoi celebri “colleghi”: Amazon, Google e Meta hanno dismesso o ridotto i loro programmi per la diversità e inclusività aziendali, il fact-checking è diventato un residuo di un passato non voluto, e persino gli atteggiamenti personali dei dirigenti hanno subito modifiche radicali (si pensi al malfamato commento di Mark Zuckerberg sulla necessità di più “energia maschile” nella puntata del podcast di Joe Rogan in cui è stato ospite).

Dov’è che progresso tecnologico e sociale hanno preso due strade differenti? La verità è che, probabilmente, non vi è mai davvero stato nessun cammino comune.

Vent’anni di posizionamento ideologico aziendale e marketing dei valori ci hanno fatto forse scordare le origini dei giganti del tech, tra discutibili simpatie politiche, esenzioni fiscali miliardarie, antipatie per i sindacati, sessismo imperante e ricerca del profitto estremo a discapito di tutto e tutti (pianeta, salute mentale di adolescenti e giovani adulti, equità elettorale, e chi più ne ha più ne metta). Come ricorda Leonardo Bianchi in un dettagliato articolo per Valigia Blu, l’”ideologia californiana” che fa da base filosofica all’industria siliconiana è permeata di neo-liberismo di destra e correnti che rigettano l’utilità dello Stato, oltre a certezze sulla superiorità del potere maschile (e bianco) che le sono valse in più occasioni l’etichetta poco piacevole (e mai attuale come oggi) di “tecno-fascismo”.

Il primo mandato di Trump è passato nell’ostilità o  quantomeno indifferenza generale delle aziende tecnologiche (con qualche rara eccezione), complici gli attacchi alla Silicon Valley e ai suoi amministratori delegati (tra tutti, Mark Zuckerberg e Jeff Bezos, il primo accusato di aver ingiustamente rimosso numerosi contenuti favorevoli a Trump dai social media di sua competenza, il secondo proprietario del quotidiano Washington Post, spesso critico di Trump) e il desiderio delle aziende di mantenere la simpatia di un’opinione pubblica percepita in stragrande maggioranza critica dell’operato trumpista. Lo stesso non si può dire del secondo mandato, iniziato lo scorso gennaio, che ha trovato il sostegno sia economico (si parla di donazioni di milioni di dollari per ciascuna azienda) che ideologico di una Silicon Valley tornata alle sue – mai del tutto dismesse – origini reazionarie. Non solo, quindi, motivazioni di vantaggio economico rispetto a un’amministrazione Democratica sempre più volta al controllo e allo scorporamento dei giganti californiani, ma un vero e proprio voltafaccia ad anni di dichiarate intenzioni progressiste (o insabbiamenti delle pratiche meno appetibili al pubblico, peraltro rapidamente cadute nel dimenticatoio).Sul breve termine, le reazioni dell’opinione pubblica sono state di sgomento e perplessità. Il ritorno delle aziende tecnologiche statunitensi a un dichiarato allineamento con i principi dell’”ideologia californiana” avrà certamente conseguenze importanti sul modo in cui la tecnologia viene prodotta, sulle esigenze che vengono tenute in considerazione in tutto il processo che va dall’ideazione di servizi e prodotti digitali, alla loro creazione, e agli ambiti nei quali vengono applicati. Finora, però, soltanto le imprese di Musk hanno davvero subito un contraccolpo in risposta al brusco cambio di rotta del loro proprietario. Sul lungo termine, forse, questa rara occasione di caduta della maschera del marketing valoriale potrebbe finalmente portare una riflessione di più ampio respiro sul ruolo della Silicon Valley – e delle idee che essa porta nel suo DNA – nella società non solo statunitense, ma internazionale.

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