Giugno 25, 2020
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Autore: Matteo Navacci
Questa è la nuova normalità. Quante volte l’abbiamo sentito dire nell’ultimo mese?
La pandemia ha messo in moto una serie di ingranaggi che ci stanno portando verso una “nuova normalità” caratterizzata da una corsa alla tecnologia che dovrebbe farci sentire più sicuri.
Tutti ormai parlano di big data, tracking, algoritmi, intelligenza artificiale e robotica come se fossero una panacea in grado di salvare il mondo.
Eppure, questa corsa sfrenata verso la tecnologia, in assenza di vero dibattito politico e democratico, rischia di far passare in secondo piano una serie di questioni che potrebbero condizionare irrimediabilmente il nostro futuro.
La tecnologia ha bisogno essere guidata e governata, attraverso scelte ponderate e che tengano sempre in considerazione gli interessi delle persone e dell’ambiente sociale in cui viviamo.
Non possiamo perdere la nostra umanità nella tecnologia.
Quello che dovrebbe essere uno strumento al servizio dell’uomo, potrebbe diventare uno strumento di controllo, manipolazione, oppressione sociale e psicologica.
Ad esempio, le app di contact-tracing.
Una tecnologia pericolosa, che potrebbe essere sfruttata nel futuro per mettere in atto politiche di sorveglianza di massa e che pur nelle sue migliori intenzioni nasconde molti rischi per i diritti delle persone, che ad oggi sono raramente presi in considerazione
La parte peggiore?
Il “new normal” sarà ornato da promesse di sicurezza, ripresa economica, benessere, comfort. Saranno queste promesse a spingere i cittadini ad accettare compressioni a tempo indeterminato dei loro diritti, come la privacy.
Proprio durante i momenti peggiori della pandemia si è dato molto spazio mediatico a personaggi che proponevano di sospendere la normativa privacy al fine di meglio affrontare l’emergenza – come se fosse un ostacolo.
Vale la pena ricordare che quando si parla di privacy non si fa soltanto riferimento alla riservatezza delle informazioni. La privacy è l’alveo dentro il quale vivono altri diritti e libertà fondamentali delle persone, come la libertà di pensiero e di espressione.
Sospendere la normativa privacy significherebbe di fatto sospendere i diritti delle persone.
È quello che è successo il 15 maggio in Ungheria, che per “affrontare meglio” la pandemia ha deciso di sospendere alcuni diritti previsti dal Regolamento europeo per la protezione dei dati personali (GDPR), tra cui il diritto di accesso (cioè quel diritto che consente ai cittadini di ottenere informazioni sul trattamento dei loro dati personali).
In nessun modo questo potrà davvero aiutare l’Ungheria a combattere il coronavirus, ma è molto facile approfittare di momenti di crisi per togliere diritti ai cittadini.
Nel viaggio verso questa nuova normalità che ci aspetta, l’auspicio è che possa esserci rispetto per la privacy e per i diritti fondamentali dellle persone, oltre che un trattamento di dati etico e trasparente.
O ancora più semplicemente, che si mantenga la libertà di vivere.