Chiediamo il divieto del riconoscimento facciale
Milano, 15/05/2023 – È uscita oggi su “Libero” un’intervista al ministro dell’Interno Piantedosi che riprende le argomentazioni del governo a favore dell’introduzione di sistemi di riconoscimento facciale nelle stazioni italiane. Il ministro parla di “straordinarie possibilità” offerte da questa tecnologia nella prevenzione e individuazione di reati come di un “dato di fatto”.
Da tempo, però, la società civile italiana ed europea fa notare la pericolosità dell’uso improprio del riconoscimento facciale per la società, e soprattutto il fatto che non esista nessun dato a giustificare l’ottimismo nei loro confronti.
Diletta Huyskes, responsabile Advocacy & Policy dell’associazione Privacy Network, scrive su Wired che “non esistono dati di nessun tipo sull’efficacia di queste tecnologie. Semmai, purtroppo, gli unici dati e studi a disposizione sulle loro performance riguardano il loro cattivo funzionamento.
Molti studi hanno provato come, proprio nel loro utilizzo da parte di forze di polizia, le tecnologie di riconoscimento facciale si comportino molto peggio quando analizzano alcune persone. L’anno scorso, dopo un’indagine, la polizia di Detroit ha confermato che il loro software di riconoscimento facciale aveva un tasso di errore del 90% nel riconoscere persone nere”. “
È fondamentale quando si parla di riconoscimento facciale non fare l’errore di parlare solo dei rischi per la privacy”. “Il riconoscimento biometrico, specie quando implementato da autorità pubbliche, apre a una serie di rischi e minacce che vanno ben oltre, e che riguardano profondamente il cuore della libertà e della democrazia.
L’esistenza stessa di questi strumenti nei luoghi pubblici […] sottopone chiunque a una sorveglianza continua. Il che significa non solo raccogliere migliaia di dati su tutti noi solo perché ci troviamo in un determinato luogo, ma sovvertire uno dei principi cardine della democrazia: la presunzione d’innocenza. Il pericolo è che il riconoscimento facciale nelle mani delle forze dell’ordine renda le persone colpevoli fino a prova contraria” e che ogni persona si senta sorvegliata nello spazio pubblico a prescindere da ciò che fa.
È necessario ampliare questa discussione al Parlamento,soprattutto ora che il Parlamento europeo ha espresso il suo primo parere su questo tema: l’11 maggio, le due Commissioni responsabili del provvedimento europeo che mira a normare l’intelligenza artificiale hanno votato per vietare la sorveglianza biometrica negli spazi pubblici europei.
Per supportare questa decisione, anche le associazioni italiane The Good Lobby, Hermes Center for Transparency and Digital Human Rights e info.nodes hanno lanciato una campagna, DontSpyUs, che mostra i pericoli del riconoscimento facciale usando le foto dei parlamentari stessi. Uno degli obiettivi è dimostrare la fallacia di queste tecnologie, che spesso presentano tassi di errori molto rischiosi nell’identificazione delle donne o di gruppi socialmente discriminati. Questi sistemi potrebbero quindi rafforzare la discriminazione e i pregiudizi dando loro un’apparenza di obiettività.
Per quanto riguarda l’ambito legale della protezione dei dei dati, poi, le autorità europee (EDPS e EDBP) hanno chiarito a più riprese come la mera esigenza di reprimere e perseguire reati non è tale, di per sé, da giustificare il ricorso a tecnologie tanto invasive. Anche su questo punto, Privacy Network partecipò alle consultazioni pubbliche sull’uso di sistemi di riconoscimento facciale promosse dall’EDPB lo scorso anno, con alcune specifiche osservazioni.
In secondo luogo, la decisione di implementare sistemi come quelli proposti dovrebbe essere preceduta da una valutazione di altre misure alternative e meno invasive. Soltanto dove tale valutazione (adeguatamente documentata e supportata da evidenze fattuali) sia negativa, e dunque sia dimostrato come il mezzo più invasivo sia l’unico in grado di raggiungere l’obiettivo, allora si potrà procedere all’utilizzo di tale mezzo. L’approccio proposto dal ministro Piantedosi sembra dimenticare quella che dovrebbe essere la prassi corretta laddove si vogliano imporre limitazioni ai diritti fondamentali mantenendo intatta la tenuta democratica del sistema.
In linea con la direzione europea, che presto sarà legge, chiediamo al Parlamento italiano di instaurare una discussione sui limiti di queste tecnologie, fornendo argomentazioni basate sui reali “dati di fatto” per vietare l’utilizzo del riconoscimento facciale e delle tecnologie biometriche.