Ravenna – la polizia geolocalizza le persone in quarantena

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Autore: Diego Dimalta

Succede che a Ravenna qualcuno abbia avuto quella che di primo acchito deve essere sembrata l’idea del secolo: per controllare che le persone rispettino la quarantena covid, chiedono di inviare di dati di geolocalizzazione via telefono.

Peccato che non si tratti dell’idea del secolo, quanto più di un probabile abuso, contrario alla normativa e al buon senso.

Questo il messaggio presente sulla pagina Facebook dell’Ente:

Un messaggio piuttosto duro che ci dice tre cose:

1- i cittadini verranno chiamati dalla Polizia per conoscere la localizzazione;

2- durante la chiamata verrà fornito un numero ai cittadini per inviare la geolocalizzazione;

3- se non si esegue l’ordine viene inviata subito una pattuglia sul posto.

A tal riguardo non posso non evidenziare sin da subito l’incoerenza nel dire ai cittadini di condividere la geolocalizzazione inviandola ad un numero della Polizia che tuttavia non si indica per esteso, per motivi di riservatezza.

Insomma, la privacy dei cittadini conta nulla, ma quella della Polizia Locale invece sì. Circostanza questa che farebbe quasi sorridere se non riecheggiasse nella mia testa una nota frase del Marchese del Grillo di Alberto Sordi.

La Polizia Locale ha poi, dopo le polemiche, aggiustato il tiro pubblicando un messaggio più edulcorato in cui si dice che l’invio dei dati di geolocalizzazione è meramente opzionale e che il dato non è soggetto a conservazione circostanza questa che, a mio avviso, lascia quantomeno il beneficio del dubbio visto come è stata gestita la vicenda.

Cambia anche la “minaccia” finale passando da “inviamo la pattuglia sul posto” a “la Polizia Locale effettuarà controllo sul posto”. La verità è che possiamo usare parole diverse, anche più gentili ma il succo è sempre lo stesso e, a mio avviso, il danno è ormai fatto.

La segnalazione di Privacy Network e l’istruttoria del Garante Privacy sul caso

Non a caso Privacy Network già il 13 gennaio aveva inviato una segnalazione al Garante Privacy, che ha poi aperto un’istruttoria sul caso.

Del resto, la trovata della polizia di Ravenna si addice più ad uno stato autoritario dove i cittadini vengono controllati in ogni loro comportamento, piuttosto che ad uno stato di diritto dove, seppur con le note limitazioni attuali, i cittadini godono di libertà di movimento e diritti di riservatezza che possono essere contratti solo in presenza di ben determinati requisiti (in questo caso assenti).

Non comprendere questo passaggio significa non avere il benché minimo polso di come funzioni il bilanciamento dei diritti costituzionali e ciò spaventa in quanto sono queste le persone a cui verrà a brevissimo concesso l’utilizzo di telecamere con riconoscimento facciale ed altri strumenti invasivi. Se già oggi il limite viene varcato con questa disinvoltura, non oso pensare cosa accadrà domani.

Ma che problemi emergono in concreto dalla vicenda?

Come dicevo, nel viver sociale entrano in gioco diversi diritti i quali devono essere bilanciati correttamente. Questo bilanciamento viene di fatto delegato al legislatore in quanto nel GDPR (Regolamento europeo privacy) si dice chiaramente che taluni trattamenti, specie se fatti dalla PA, sono possibili solo in presenza di legge, in questo caso del tutto assente.

Gli esperti del settore a questo punto evidenzieranno che il DL 139/21 (“Decreto Capienze”) ha introdotto un’altra ampia casistica che consente alle PA di trattare dati anche in assenza di legge. È vero, anche se in questo caso mancano anche i requisiti minimi posti da Decreto Capienze apparendo il tutto più come una decisione organizzativa campata in aria.

Allo stesso modo manca totalmente un’informativa o un qualsiasi atto di trasparenza verso chi subisce questo trattamento. Chi raccoglie i dati? Dove vanno? Per quanto tempo? Come si possono esercitare i diritti di accesso, cancellazione, ecc.? 

Nulla di tutto ciò è specificato. Ma non sorprende.

Questa situazione è in parte figlia dei tempi che stiamo vivendo, dove politici e virologhi influencer fanno a gara a chi la spara più grossa contro la privacy e dove il legislatore, di contro, nella foga di porre fine alla pandemia ha approvato limitazioni ai diritti che vanno ben oltre l’accettabile mettendo gli italiani in condizione di scaricare, ad esempio, app di tracciamento inutili ed inutilizzate (Immuni) o app di Stato (IO) che inviano tracker agli Stati Uniti, approvando poi norme di dubbio gusto come il DL Capienze; lo stesso DL che consente già oggi a comuni poco sensibili al tema privacy, come parrebbe essere Ravenna, di trovare comunque delle scappatoie per gestire questi trattamenti inutili.

Il nostro vantaggio?

Il vantaggio è che paradossalmente la conoscenza della normativa privacy in questi comuni è così bassa che spesso costoro non conoscono neanche le basi della normativa e le scappatoie offerte dal DL Capienze, che consentirebbero loro di rendere leciti trattamenti di dati anche molto invasivi come quello di cui parliamo oggi, per il quale non resta che attendere la decisione definitiva del Garante Privacy.